logo e scritta

L’USO DELLA SCRITTURA NEL CATECHISMO [DELLA CHIESA CATTOLICA]
di Joseph Card. Ratzinger

Questo testo è un estratto dell’intervento del Card. Joseph Ratzinger al Congresso tenutosi a Roma nel mese di ottobre 2002 e organizzato dalla Congregazione per il Clero in occasione del 10° anniversario della pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica.
    Il testo completo dell’intervento, dal titolo «Attualità dottrinale del Catechismo della Chiesa Cattolica, dopo 10 anni dalla sua pubblicazione», si può trovare al sito: clerus.org > Documentazione > Cong. per il Clero > Congresso catechistico

L’uso della Scrittura nel Catechismo

Particolarmente forti furono gli attacchi all’uso della Scrittura da parte del Catechismo: esso (come già detto) non avrebbe avuto consapevolezza del lavoro esegetico di un intero secolo; sarebbe pertanto ad esempio così ingenuo da citare passi del Vangelo di Giovanni per delineare la figura storica di Gesù; si ispirerebbe ad una fede letteralistica che si potrebbe già designare come fondamentalistica ecc. Al riguardo si dovrebbe in riferimento al già indicato compito specifico del Catechismo riflettere molto accuratamente circa il modo con cui questo libro deve fare uso della esegesi storico-critica. Relativamente ad un’opera, che deve presentare la fede - non delle ipotesi - e che per un tempo piuttosto lungo deve essere “riferimento sicuro e autentico per l’insegnamento della dottrina cattolica” (così il Papa nella Costituzione Apostolica, n. 4), si dovrebbe tener presente quanto rapidamente le ipotesi esegetiche mutano e quanto grande è in verità il dissenso anche fra autori contemporanei in riferimento a molte tesi. Il Catechismo ha pertanto dedicato un suo proprio articolo - i numeri 101-141 del libro - ad una riflessione specifica sul retto uso della Scrittura nella testimonianza della fede. Questa sezione è stata valutata da importanti esegeti come una sintesi metodologica riuscita, che affronta la questione della natura non solo storica, ma propriamente teologica dell’interpretazione della Scrittura. Al riguardo occorre prima rispondere alla domanda: cos’è propriamente la Sacra Scrittura? Che cosa rende questa raccolta letteraria in una certa misura eterogenea, il cui tempo di formazione si estende per circa un millennio, un unico libro, un unico sacro libro, che come tale è interpretato? Se si approfondisce questo interrogativo, emerge chiaramente tutta la specificità della fede cristiana e della sua concezione della rivelazione. La fede cristiana ha la sua specificità innanzitutto nel fatto che si riferisce ad eventi storici, o meglio ad una storia coerente, che di fatto è avvenuta come storia. In questo senso le è essenziale la questione della fattualità, della realtà dell’evento, e pertanto deve dare spazio al metodo storico. Ma questi eventi storici sono significativi per la fede soltanto perché è certo che in essi Dio stesso in un modo specifico ha agito e gli eventi portano in se qualcosa che va al di là della semplice fatticità storica, qualcosa che proviene da altrove e dà loro significato per tutti i tempi come per tutti gli uomini. Questa eccedenza non deve essere separata dai fatti, non è un significato giustapposto successivamente ad essi dall’esterno, ma è presente nell’evento stesso, pur trascendendo per altro la pura fatticità. Proprio in questa trascendenza insita nel fatto stesso si trova l’importanza di tutta quanta la storia biblica. Questa struttura specifica della storia biblica si riflette nei libri biblici: essi da una parte sono espressione dell’esperienza storica di questo popolo, ma poiché la storia stessa è qualcosa di più che non l’azione e la passione del popolo, in questi libri non parla in realtà solo il popolo, ma quel Dio che agisce in lui e per mezzo di lui. La figura dell’ “autore”, che è così importante per la ricerca storica, è quindi articolata in tre livelli: l’autore individuale è infatti sostenuto a sua volta dal popolo nel suo insieme. Questo si rivela proprio nelle sempre nuove aggiunte e modifiche dei libri; qui la critica delle fonti (malgrado molte esagerazioni ed ipotesi poco plausibili) ci ha fatto dono di pregevoli scoperte. Alla fine non è solo un autore individuale, che parla, ma i testi crescono in un processo di riflessione, di cultura, di nuova comprensione, che supera ogni singolo autore. Ma proprio in questo processo di continui superamenti, che relativizza tutti gli autori individuali, è all’opera un trascendimento più profondo: in questo processo di superamenti, di purificazioni, di crescita è operante lo Spirito ispiratore, che nella parola conduce i fatti e gli eventi e negli eventi e nei fatti spinge nuovamente alla parola.

Chi riflette su questa drammatica qui solo molto sommariamente accennata del divenire scrittura della parola biblica, vede senz’altro che la sua interpretazione - anche indipendentemente da interrogativi propriamente credenti - deve essere estremamente complessa. Chi però vive nella fede di questo stesso popolo e si trova all’interno di questo processo deve tener conto nell’interpretare anche dell’ultima istanza, che egli sa operante in essa. Solo allora si può parlare di interpretazione teologica, che di fatto non elimina quella storica, ma la amplia in una nuova dimensione. A partire da tali presupposti il Catechismo ha descritto la doppia dimensione di una corretta esegesi biblica, alla quale appartengono da una parte i metodi tipici dell’interpretazione storica, ma poi - se si considera questa letteratura un solo libro, e ancor più un libro sacro - devono aggiungersi ulteriori forme metodologiche. Nei numeri 109 e 110 vengono menzionati con riferimento a Dei Verbum 12 le esigenze fondamentali di un’esegesi storica: fare attenzione all’intenzione degli autori, alle condizioni del loro tempo e della loro cultura, così come tener conto dei modi di intendere, di esprimersi, di raccontare, consueti nella loro epoca (110). Ma vi si devono poi aggiungere anche quegli elementi metodologici, che derivano dalla comprensione dei libri come un solo libro e come il fondamento della vita del popolo di Dio nell’Antico e nel Nuovo Testamento: prestare attenzione al contenuto e all’unità di tutta la Scrittura; leggere la Scrittura nella Tradizione vivente di tutta la Chiesa; essere attenti all’analogia della fede (112-114). Vorrei almeno citare il bel testo, con il quale il Catechismo presenta il significato dell’unità della Scrittura e lo illustra con una citazione di San Tommaso: “per quanto siano differente i libri che la compongono, la Scrittura è una in forza dell’unità del disegno di Dio, del quale Cristo Gesù è il centro e il cuore, aperto dopo la sua Pasqua. ’Il cuore di Cristo designa la Sacra Scrittura che appunto rivela il cuore di Cristo. Questo cuore era chiuso prima della Passione, perché la Scrittura era oscura. Ma la Scrittura è stata aperta dopo la Passione, affinché coloro che ormai ne hanno l’intelligenza considerino e comprendano come le profezie debbano essere interpretate’ (Tommaso d’Aquino, Psalm. 21, 11)” (112).

Da questa complessa natura del genere letterario “Bibbia” ne deriva anche che non si può fissare il significato dei suoi singoli testi in riferimento all’intenzione storica del primo autore - per lo più determinato in modo ipotetico. Tutti i testi si trovano in realtà in un processo di continue riscritture, nelle quali il loro potenziale di senso si dischiude sempre più, e pertanto nessun testo appartiene semplicemente ad un singolo autore storico. Poiché il testo stesso ha un carattere processuale, non è lecito, anche a partire dal suo proprio genere letterario, fissarlo su di un determinato momento storico e qui rinchiuderlo; in tal caso esso sarebbe anche fissato nel passato, mentre leggere la Scrittura come Bibbia significa proprio che si trova il presente nella parola storica e si apre un futuro. La dottrina del senso molteplice della Scrittura, che è stata sviluppata dai Padri e ha trovato una sistemazione organica nel Medioevo, a partire da questa particolare configurazione del testo è oggi nuovamente riconosciuta come scientificamente adeguata. Il Catechismo illustra pertanto brevemente la concezione tradizionale dei quattro sensi della Scrittura - meglio si direbbe piuttosto delle quattro dimensioni del senso del testo. Vi è innanzitutto il cosiddetto senso letterale, cioè il significato storico-letterario, che si cerca di riproporre come espressione del momento storico della nascita del testo. Vi è il cosiddetto senso “allegorico”; purtroppo questa parola screditata ci impedisce di cogliere esattamente ciò di cui si tratta: nella parola lontana di una determinata costellazione storica traspare in realtà un itinerario della fede, che inserisce questo testo nell’insieme della Bibbia e al di là di quel tempo lo orienta in ogni tempo a partire da Dio e verso Dio. Vi è poi la dimensione morale - la parola di Dio è sempre anche indicazione di un cammino, ed infine la dimensione escatologica, il superamento verso ciò che è definitivo e l’accesso “senso anagogico”.

Questa visione dinamica della Bibbia nel contesto della storia vissuta e che continua del popolo di Dio conduce poi ad un’ulteriore importante acquisizione sull’essenza del Cristianesimo: “La fede cristiana tuttavia non è una ’religione del Libro’”, dice lapidariamente il Catechismo (108). Questa è un’affermazione estremamente importante. La fede non si riferisce semplicemente ad un libro, che come tale sarebbe l’unica ed ultima istanza per il credente. Al centro della fede cristiana non si trova un libro, ma una persona - Gesù Cristo, che è egli stesso la Parola vivente di Dio e si fa conoscere per così dire nelle parole della Scrittura, che però a sua volta possono essere comprese rettamente sempre solo nella vita con lui, nella relazione vivente con lui. E poiché Cristo si è edificato e si edifica la Chiesa, il popolo di Dio, come suo organismo vivente, suo “corpo”, è essenziale alla relazione con lui la partecipazione al popolo pellegrinante, che è il vero e proprio autore umano e al quale la Bibbia è affidata come suo proprio tesoro, come già detto. Se il Cristo vivo è la vera e propria norma dell’interpretazione della Bibbia, ciò significa che comprendiamo rettamente questo libro solo nella comune comprensione credente sincronica e diacronica della Chiesa intera. Al di fuori di questo contesto vitale la Bibbia è solo una raccolta letteraria più o meno eterogenea, non l’indicazione di un cammino per la nostra vita. Scrittura e tradizione non si possono separare. Il grande teologo di Tubinga Johann Adam Möhler ha illustrato questo necessario legame in modo insuperabile nella sua classica opera “Die Einheit in der Kirche” (L’unità nella Chiesa), la cui lettura non sarà mai abbastanza raccomandata. Il Catechismo sottolinea questo legame, nel quale è inclusa anche l’autorità interpretativa della Chiesa, come la testimonia espressamente la seconda Lettera di Pietro: “Sappiate anzitutto questo: nessuna scrittura profetica”(1, 20).

Vi è da rallegrarsi che il Catechismo con questa visione dell’esegesi della Scrittura può sapersi in concordanza con tendenze significative dell’esegesi più recente. L’esegesi canonica sottolinea l’unità della Bibbia come principio d’interpretazione; l’interpretazione sincronica e diacronica vengono sempre più riconosciute nella loro pari dignità. Il legame essenziale di Scrittura e Tradizione viene sottolineato da famosi esegeti di tutte le confessioni; appare chiaro che un’esegesi separata dalla vita della Chiesa e dalle sue esperienze storiche non può andare al di là della categoria delle ipotesi, che deve fare i conti con la superabilità in qualsiasi momento di ciò che è detto in quell’istante. Vi sono tutti i motivi per rivedere l’affrettato giudizio sul carattere grossolano dell’esegesi scritturistica del Catechismo e per rallegrarsi che esso senza complessi legga la Scrittura come parola presente e possa così lasciarsi plasmare dalla Scrittura in tutte le sue parti come da una fonte viva.