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DISSERTAZIONI DI DOTTORATO
2005-2006

CICCARELLI Michele

La sofferenza di Cristo nell’Epistola agli Ebrei. Analisi di una duplice dimensione della sofferenza: soffrire-consoffrire con gli uomini e soffrire-offrire a Dio


(Mod.: Prof. Albert VANHOYE)

Il lavoro intende approfondire un aspetto alquanto trascurato dall’esegesi sull’Epistola agli Ebrei: quello della sofferenza di Cristo sia in rapporto agli uomini che in rapporto all’offerta che Cristo stesso eleva al Padre. In questo modo, si cerca di cogliere nella passione e morte di Cristo l’interna dinamica esistenziale la quale, da una parte, è legata da un forte vincolo di solidarietà con gli uomini suoi fratelli e, dall’altra, è legata all’offerta sacrificale che egli fa della sua vita.
     Procedendo prevalentemente secondo il metodo letterario, lo studio prende in esame, secondo lo stesso ordine di presentazione dell’Epistola agli Ebrei, alcuni brani significativi che riguardano il tema della sofferenza e dell’offerta di Cristo: Eb 2,9; 2,10-18; 4,15; 5,1-10; 9,24-28; 13,10-13.
   La profonda solidarietà tra Cristo e gli uomini implica l’assimilazione alla stessa natura umana, la dimensione affettiva di fratellanza e si spinge fino alla condivisione della dolorosa esperienza delle prove subite nella vita e della morte di croce. Il sacrificio di Cristo conduce quest’ultimo ad una trasformazione del suo essere che, superando la debolezza esistenziale, lo inserisce in una nuova dimensione e in un nuovo duplice rapporto nei confronti di Dio e nei confronti degli uomini: egli diventa sommo sacerdote accreditato presso Dio e misericordioso; inoltre, essendo stato messo alla prova come gli altri uomini, è capace di venire in aiuto di coloro che sono messi alla prova (Eb 2,17-18) e di usare compassione per le nostre debolezze (Eb 4,15).
     A differenza del sommo sacerdote antico, Gesù viene presentato non solo come colui che presenta l’offerta, ma anche come l’offerta stessa. La sua umanità, che già nelle “preghiere e suppliche”, presentate “con forte grido e lacrime”, si manifesta nel suo aspetto di sofferenza e viene accettata da Dio come un sacrificio (Eb 5,7: prosene,gkaj kai. eivsakousqei,j), rientra nella generosa offerta fatta a Dio della sua intera vita.
     Una parte considerevole del lavoro è dedicata ad una nota crux interpretum: il verbo metriopaqei/n in Eb 5,2 che, in base ad alcuni scritti antichi e alla testimonianza di alcuni Padri, nonché ad alcune antiche versioni del passo biblico (siriache, copte, armena, VL, Vg, ) è stato inteso come avere sentimenti di modestia e umiltà in rapporto agli uomini peccatori.
     In Eb 9,25-26, con lo strettissimo legame tra offrire e soffrire, la morte di Cristo è presentata come un sacrificio esistenziale che mette insieme la dimensione dell’offerta con quella della sofferenza. Il sangue di Cristo, d’altra parte, oltre a richiamare la dimensione di sofferenza del suo sacrificio, è unito anche al concetto di nuova alleanza (Eb 10,29), la cui novità viene evidenziata dal legame che essa ha con il sacrificio esistenziale di Cristo e con la sua mediazione sacerdotale. È questo sacrificio esistenziale di Cristo che, a differenza di ciò che avveniva nei sacrifici presentati al tempio, è costituito dal dinamismo oblativo della sua intera vita che intraprende un cammino doloroso fino alla sua conseguenza più drammatica e raggiunge il suo scopo con il presentarsi nel cielo direttamente alla presenza di Dio, producendo, così, l’abolizione definitiva del peccato (Eb 9,24.26).
     Nell’ultima parte dell’Epistola la sofferenza di Cristo è presentata entro una coordinata storico-geografica: “fuori della porta della città” (Eb 13,12). Il verbo e;paqen, in Eb 13,12, non può essere inteso nel solo significato di morire, ma esprime anche tutta la sofferenza che Gesù ha subìto fino all’effusione del sangue. Questa sofferenza di Gesù non possiede le connotazioni della morte nobile dell’eroe, ma rimane al livello degli uomini suoi fratelli con i quali egli stabilisce un rapporto di profonda solidarietà, a partire dalla quale egli sopporta con coraggio l’atrocità della morte di croce e diventa oggetto di ammirazione e modello da imitare per i cristiani (Eb 12,2-3).
     Uscendo fuori dell’accampamento, portando il suo obbrobrio (Eb 13,13) i cristiani prendono le distanze dall’antico culto e trovano in Cristo che muore “fuori della porta” il fondamento del loro culto e lo spazio per dare testimonianza concreta e sofferta alla loro fede proiettata verso la città futura (Eb 13,14). Con il portare “l’obbrobrio di Cristo”, infine, i cristiani entrano in comunione con il suo sacrificio e intrecciano con il suo soffrire-offrire il proprio soffrire-offrire, intreccio il cui nodo centrale è costituito dall’umanità che Cristo condivide in tutta la sua dimensione di fragilità esistenziale.