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DISSERTAZIONI DIDOTTORATO
2002-2003

GIUNTOLI Federico

L’officina della radizione. Studio di alcuni interventi redazionali post-sacerdotali e del loro contesto nel ciclo di Giacobbe (Gn 25,19—;50,26)

(Mod.: Prof. Jean Louis SKA)

Nell’ambito delle sezioni testuali del libro della Genesi che attualmente costituiscono il cosiddetto «ciclo di Giacobbe» (cf. Gn 25,19* - 50,26*), scopo di questa dissertazione dottorale è quello di rintracciare l’esistenza di alcune rielaborazioni redazionali di origine post-sacerdotale, di analizzare i contesti testuali in cui sono state effettuate e di evincere anche qualcosa dei possibili intendimenti e delle probabili convenienze che dovettero aver guidato coloro che di quelle rielaborazioni furono i responsabili.
    Il lavoro si divide in tre parti, globalmente racchiuse da un capitolo di introduzione e da uno di conclusione. A quest’ultimo succedono quattro appendici di varia estensione, nelle quali vengono approfonditi e ampliati alcuni temi collaterali, ora accennati ora presupposti nel corpo stesso della dissertazione.
    La prima parte si concentra sulla pericope di Gn 32,10-13, la supplica che Giacobbe rivolse al Dio dei suoi padri alla vigilia del ritorno in Cana'an dopo aver terminato gli anni del suo esilio presso Labano. Rintracciata una possibile storia della redazione del contesto in cui la summenzionata preghiera è inserita (cf. Gn 32,1 - 33,17) e dimostrata anche l’origine redazionale di quest’ultima, si è proceduto a mostrare, tramite uno studio terminologico, stilistico e teologico, unitamente anche ad una indagine comparativa con altre eucologie sia del canone biblico ebraico e greco sia di provenienza extra-biblica (tutte ben assimilabili ad assai recenti periodi di composizione), la sua plausibile origine post-sacerdotale.
    Mediante la sua supplica Giacobbe sembra essere divenuto l’icona dello stesso Israele che, al termine degli anni della sua cattività babilonese, fu chiamato a vivere l’esperienza del ritorno. Esaù, per converso, essendo rimasto nella Terra della promessa e non avendo di conseguenza potuto patire l’esperienza dell’esilio, sembra essere divenuto l’immagine dei «popoli del paese», di quelle popolazioni, cioè, che, non avendo condiviso con Israele la deportazione caldea ed essendosi anche riorganizzati in una probabile vita nei dintorni delle devastazioni di Gerusalemme e dei suoi suburbi, dimostrarono una non indifferente ostilità nei confronti di coloro che ritornavano, ritrovandosi inevitabilmente anche a vedere alterarsi il precario equilibrio che, forse a stento, si erano ricostruito (cf., ad esempio, Esd 4; Ne 2* - 6*).
    La seconda parte della dissertazione si occupa non tanto di inserzioni redazionali in testi e contesti più antichi, quanto di rielaborazioni post-sacerdotali di quegli stessi testi. La rielaborazione in questione verte su di un particolare «aggiustamento» che l’«editore» del testo massoretico sembrerebbe aver effettuato su di un testo cronologicamente precedente, tuttora testimoniato dalla versione dei Settanta (cf. spec. Gn 47,5-6 [TM] in rapporto a Gn 47,5-6 [LXX]). Una tale divergenza testuale si è inoltre prestata anche a rivestirsi della funzione di affidabile indizio per rivelare l’esistenza di una duplice tradizione del racconto della discesa in Egitto di Giacobbe e di tutta la sua casa, ancora ravvisabile e sufficientemente ricostruibile all’interno degli attuali cc. 45* - 47* di Genesi.
    Le note divergenze testuali fra i LXX e il TM circa la forma e i contenuti di Gn 47,5-6 sono cioè parse proprio rimandare, da una parte, all’incontro di due diverse sequenze di quella doppia tradizione — da un punto di vista narrativo tra loro temporalmente e logicamente non ben congruenti, correlate e conseguenti (cf. LXX) —, dall’altra, in virtù dello stridore da esso prodotto, al tentativo ulteriore nel tempo di porvi rimedio (cf. TM). In questo senso, lo scopo dell’intervento «editoriale» post-sacerdotale ha dato più che altro l’apparenza di adoperarsi a raffinare il testo dei vv. 5-6 [TM], in modo da dissimulare maggiormente le mire disunivoche e pur coesistenti delle due già segnalate versioni del medesimo episodio dell’emigrazione di tutta la casa di Giacobbe verso l’Egitto.
    La terza parte torna invece ad occuparsi di testi redazionalmente immessi in contesti narrativi già in esistenza, così come avvenuto a proposito di Gn 32* (cf. c. I). Sono in particolare le sezioni di Gn 48,3-6.7 (P) e di Gn 48,15-16 (post-P) a richiamare l’attenzione. Si tratta dei luoghi narrativi in cui Giacobbe, ormai vicino all’ora di ricongiungersi ai suoi padri, si trova prima a legittimare (cf. vv. 5-6) poi a benedire (cf. vv. 15-16) Manasse ed Efraim, i due figli di Giuseppe avuti in terra d’Egitto da Aseneth, figlia del sacerdote di ’On. Ad una proposta a riguardo della storia della redazione dell’intero c. 48 segue uno studio delle due inserzioni redazionali dianzi richiamate.
    Per mezzo ancora di un processo proiettivo e di una sostituzione ermeneutica, i due figli «egiziani» di Giuseppe, nati in seguito al «matrimonio misto» di quest’ultimo con la figlia del sacerdote di ’On, sembrano essere stati «usati» per significare tutt’altre realtà: gli israeliti della diaspora, e, forse, più particolarmente, i nati nel suolo caldeo durante gli anni dell’esilio. In virtù dell’autorevole legittimazione e della susseguente benedizione di Manasse ed Efraim vengono autorevolmente a legittimarsi, benedirsi e generalmente favorirsi tutti i figli d’Israele ritornati dall’esilio di Babilonia, al fine di potere continuare a moltiplicarsi e ad accrescersi grandemente nella Terra per la quale YHWH in persona si era per più volte impegnato.
    La realtà stessa dei "matrimoni misti" era una preoccupazione tutt’altro che trascurabile nei periodi post-esilici della storia d’Israele (cf. Esd 9 - 10; Ne 13,23-27). L’autorevole legittimazione e la conseguente benedizione dei due nipoti di Giacobbe, in questo senso, si trovavano anche a «sanare» tacitamente «in radice» il matrimonio misto di Giuseppe con Aseneth, oltreché a «glorificare» l’Israele della diaspora agli occhi di tutti i suoi possibili avversari.
    In aggiunta, e sempre nella scia di quanto sinora affermato, con la benedizione di Gn 48,15-16 si viene anche ad assistere al passaggio — l’ultimo — delle promesse ricevute da Abramo, Isacco e dallo stesso Giacobbe, sempre per mezzo dei due figli di Giuseppe, all’interezza della comunità dell’Israele post-esilico, rendendola così la depositaria ultima ed unica dell’eredità dei padri.
    Per quanto concerne il metodo seguito, esso è ovviamente provenuto da quelli propri degli orientamenti diacronici, anche se, laddove i testi lo hanno permesso, il ricorso a certune sensibilità provenienti da quelli sincronico-narrativi non è stato affatto rigettato. Sono state trattenute le sensibilità e gli accorgimenti che, con coerenza, hanno permesso di individuare con un certo margine di plausibilità la storia della redazione dei testi dianzi richiamati. Fra questi, gli orientamenti propri della Literarkritik — sia della scuola «classica», con il rinvenimento di «fonti» letterarie, sia della sua evoluzione, con l’intercettazione di «strati redazionali» — sono stati in genere quasi sempre criticamente rigettati.